di Stefano Avitabile

Elezioni regionali = elezioni locali ??? Riduttivo, quando votiamo a Bari, Bologna, Napoli o Milano stiamo scuotendo l’albero del potere romano. Ricordate le dimissioni di Massimo D’Alema, allora Presidente del Consiglio, nella primavera 2000 ? Furono un gesto inusuale per i costumi politici del nostro paese, immediata conseguenza della sconfitta subita dai Democratici di Sinistra nelle elezioni regionali di quell’anno. Da allora tutti sanno che quando andiamo a votare per il governo delle regioni, in realtà stiamo scuotendo l’albero del potere romano. Si vota in Puglia o in Lombardia, per fare un esempio, ma gli scossoni li sentono nella capitale. E’ un bene o un male? Direi che è un bene. Vuol dire che in un’Italia decentrata e gelosa delle sue peculiarità locali, è giusto –o meglio, è inevitabile- che il peso politico delle regioni sia rilevante. In un certo senso, il federalismo invocato da Bossi esiste già : i cittadini, purtroppo per loro, non ne avvertono ancora alcun beneficio in termini economici o sociali, ma la politica vive già nella nuova dimensione. E non da oggi : almeno da quel giorno di dieci anni fa in cui D’Alema usci da Palazzo Chigi (senza averne l’obbligo) a causa della vittoria di Storace nel Lazio. Cioè in una regione cruciale allora per gli equilibri nazionali come lo è oggi, con il duello tra Polverini – Bonino. Non c’è da stupirsene, benché forse i “padri costituenti” non avessero previsto un simile sviluppo quando immaginarono per l’Italia repubblicana l’ordinamento regionale. Un disegno peraltro, che incontrò subito difficoltà insormontabili. Ci vollero più di vent’anni dall’entrata in vigore della Costituzione per vedere delineate le regioni come le conosciamo oggi. E in fondo si capisce. Le resistenze erano diffuse. I “centralisti” sostenevano che era un grave errore indebolire l’autorità dello Stato nazionale : anche a colpo d’occhio, i confini delle regioni somigliavano un po’ a quelli degli antichi regni e ducati dell’Italia pre-unitaria. I “localisti” replicavano che il vero spirito di autonomia degli italiani si esercita nei comuni. L’Italia “dei mille campanili”, erede diretta dei municipi medioevali, baluardo di libertà. Per cui nemmeno i “localisti” erano entusiasti della novità. La storia ha dato torto a entrambi. Piaccia o no, le elezioni regionali hanno acquistato un rilievo politico paragonabile al voto per il Parlamento. Dal resto, un presidente di regione conta molto di più di un anonimo deputato o senatore. Si veda il caso di Vendola in Puglia, dove la storia della sinistra radicale, finita a Roma, si incrocia con un destino di successo. Almeno fino a fine mese…

Stefano Avitabile

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